sabato 16 maggio 2009

Attentifs ensemble.

Dovrei scrivere, in questo momento, il mio pezzo; anche perché sono in un ritardo pazzesco -mi sono imbarcato in un progetto, diciamo, assai procelloso, ma vabbé, ho voluto la bicicletta e ora mi tocca pedalare, anche se alla bersagliera.
Dico dovrei, perché l'allegro comune di Vincennes ha pensato di regalare ai suoi cittadini, senza distinzioni di sesso, religione o etnia, un prestigioso concerto in piazza, con banda e musiche di pregevole fattura. Che culo, mi è toccato smettere quando mi sono accorto che cominciavo a scrivere triadi e ritmi alla umpa umpappà. Tanto più che i vicini hanno organizzato una festa per il loro pargolo, e ci sono orde di bocchia nel giardino che urlano come delle bestie.

Quindi prendo quest'occasione di riposo forzato per raccontarvi di un luogo simbolo di Parigi: meglio, del potere incontrollabile che questo luogo malefico esercita sulle menti di noi poveri, ignari coglioni che lo frequentiamo. Quotidianamente. Incessantemente.
La metropolitana, fiore all'occhiello dell'efficienza parigina.

In effetti, per il primo mese tutto va bene: la metro funziona egregiamente, ci si può spostare da un capo all'altro della città in un tempo relativamente breve, le fermate sono ovunque, con le loro candide mattonelle che ricordano un po' un cesso, valà, questo almeno va detto. Un'illusione di libertà e di cosmopolitismo pervade l'inesperto e ignaro viaggiatore, ma non durerà a lungo.
Qualcosa infatti inizia a cambiare: passi dalla Gare du nord o dallo Chatelet in orario di punta, cosa che vi consiglio, e inizi a chiederti perché quei fiumi di gente, di cui tu fai parte, corrano all'impazzata, sciamando come bestie impazzite; in effetti, nonostante abbia un passo piuttosto buono, all'inizio non stavo dietro alla maggior parte della gente, che si precipitava in ogni dove, come se stesse fuggendo da un pericolo. Avranno fretta di tornare a casa, pensavo io. E invece ero ben lontano dalla verità.
L'illusione di arrivare ovunque in poco tempo è infatti solo un'illusione. E una volta che memorizzi le fermate del tuo tragitto, che ormai stai facendo da due settimane dai un'occhiata in più al tempo che passi dentro alla metro e ti fai i tuoi calcoli; scopri, ad esempio, che in media il tuo tragitto dura 40 minuti. Moltiplicalo per due, e fa un'ora e mezza. Moltiplicalo ancora per due, quando devi andare a far judo, e diventa quasi tre ore. In una settimana, scopri che passi 12 ore nella metro. 12 ore. Mezza giornata sacrificata nel ventre della terra.
Poi fai caso al fatto che per tutto questo tempo stai lì dentro, al chiarore della luce elettrica, insieme a persone, che, ti accorgi solo ora, stanno in silenzio, stanchi, annoiati e con lo sguardo assente, i loro Ipod nelle orecchie, specie di spiriti che hanno perso la loro consistenza. Manco fosse un presagio dell'aldilà. Se poi ci pensi bene, ti accorgi che i tuoi compagni di viaggio ti considerano null'altro che un ingombro, un'entità che toglie loro dello spazio prezioso, un ostacolo che gli impedisce di raggiungere l'uscita e la luce del sole (o il chiarore delle nubi, la pioggia, il vento insomma, l'aria aperta, dai, ci capiamo). Il gelo con cui vengono mediamente accolti i vari musicisti di strada e i mendicanti, secondo me, è dovuto al fatto che rendono più reale questa specie di limbo. Oltre al fatto che rompono effettivamente un po' le palle, via.
Fra questi i più divertenti sono quelli che esordiscono con:
"Buongiorno signore e signori, scusate se vi disturbo, ma sono un SDF (senza fissa dimora, un barbone, diremmo noi) e siccome fuori fa freddo e non è proprio una cosa semplice dormire di fuori, senza mangiare, (per me/per me e i miei 5-6-7-8-9 figli/per la mia compagna e me) vi chiederei se avete una moneta o un buono pasto [quest'ultimo lo chiedono in pochi] per aiutarmi"
Inoltre, tutte le vocine che quelli della RATP e della SNCF, le agenzie che si occupano della gestione dei trasporti pubblici, regalano ai loro viaggiatori, diventano delle specie di lame che perforano il cervello, filastrocche che perdono il loro senso per diventare armi psicologiche;
è un tripudio di

Attenzione allo scalino quando scendete dal treno.
Attenti insieme: non lasciate i vostri bagagli incustoditi, mettete sempre delle etichette.
Attenzione, il treno è in direzione dell'Aeroporto De Gaulle terminal 2-Tgv. Servirà tutte le stazioni.
Vi preghiamo di pazientare qualche istante, il marciapiede della prossima stazione è ancora occupato.
e una via crucis quando il sistema automatico dice il nome delle stazioni, una volta in tono ascendente appena prima di arrivare, una in tono perentorio quando si arriva; sarà utile, ma alla lunga diventa un elenco che ti ricorda tutto il tempo che stai perdendo. Ormai mi sogno questa sequenza di notte:

Bérault, Saint-Mandé, Porte de Vincennes, Nation, giù dal treno, dritto, scendi le scale a destra, poi gira a sinistra e ancora a destra, risali delle altre scale, entra nel treno, trova il posto.
Attenzione alla chiusura delle porte. Grazie.

Avron, Alexandre Dumas, Philippe Auguste, Père Lachaise, Ménilmontant, Couronnes, Belleville, Colonel Fabien, Jaurès.

Scendo, scale in giù, e se c'è bello me la faccio a piedi fino al conservatorio, un quarto d'ora, piuttosto di prendermi l'ultimo giro. Ma ogni tanto, quanto diluvia o sono in super ritardo, mi tocca... e allora,

riscendi le scale, gira a sinistra, dritto per un tot, riscendi le scale
Aspetta il treno, sali, con una religiosa attenzione per lo scalino e via verso
Laumière, Ourcq, Porte de Pantin.
Smonta, scale su, gira a destra, scale su, esci alla luce, finalmente e entra in conservatorio, con la netta impressione di avere perduto il tuo equilibrio mentale -questo nella metro non te lo ricordano, dovrebbero invece:

attenti insieme: per la sicurezza del tuo vicino, non prendete la metro per più di due ore a settimana. Altrimenti, per il Prozac, passate dal vostro farmacista di fiducia.

1 commento:

BB ha detto...

Ti ho trovato per caso, e ho letto a ritroso la tua avventura parigina.

Volevo scriverti una mail ma non trovo il tuo indirizzo...


Ciao,
Benedetta